Dopo le polemiche, inutili secondo me, sulla libertà di culto che sarebbe stata compromessa dalle restrizioni a causa della pandemia, ora qualche spiraglio sembra aprirsi all’orizzonte con gradualità.
Prima i funerali, anche se con numeri ridotti (15 partecipanti), poi le messe feriali forse dall’11 maggio, e poi quelle festive dal 18 maggio preferibilmente all’aperto.
Nel lungo “tempo sospeso” ho riflettuto a lungo se la mancanza delle celebrazioni sia stata davvero una privazione della libertà di culto o se non siamo stati in presenza di nuove forme di Eucaristia. Che valore ha avuto quel “prendete e mangiate questo è il mio corpo dato per voi”?
E’ l’Eucaristia di chi ha dato, nei mesi della pandemia acuta, la dedizione, la vicinanza, perfino la vita per stare accanto ai malati. È una Eucaristia dal sapore profetico, dello stare accanto, della fatica di attraversare un quotidiano fatto di fatica e di dolore. Abbiamo capito in questo tempo che l’Eucaristia non è solo culto, ma ricchezza di forme nuove di ascolto della Parola, di fedeltà al Vangelo, di solidarietà quotidiana, soprattutto di quella capacità di stare accanto che non ha tolto nulla alla bellezza di una Chiesa che, se anche è stata privata delle celebrazioni, è stata accanto in forme nuove alla gente.
Il “digiuno eucaristico” a cui la serietà della pandemia ci ha sottoposti ci ha spinti a liberare il culto in direzione della vita. Torniamo a celebrare, nelle modalità che ci verranno indicate, ma non lasciamo la vita per non dimenticarci mai più del suo inconfondibile sapore.