Pur riconoscendo che la guerra che si consuma in Ucraina ha ragioni che non conosco, perché frutti di un passato che a noi italiani sfugge, mi sono istintivamente schierato dalla parte degli ucraini condannando l’aggressione di Putin come una enorme ingiustizia.
Ma più sento i discorsi di Papa Francesco e più capisco che forse devo rivedere il mio modo di guardare a questa guerra che sta giustificando la necessità in Europa di aumentare le spese militari. Mi sembrava doveroso che i paesi sostenessero la resistenza ucraina con l’invio di armi. Ma mi sbagliavo.
La guerra non si fermerà con le spese militari. Il popolo ha bisogno di pane e non di fucili. All’udienza di mercoledì 30 marzo, ancora una volta Papa Francesco ha quasi gridato: “Fermiamo la guerra, crudeltà mostruosa e selvaggia”. Papa Francesco ormai non sa più come dirlo, come gridarlo. Nella veglia pasquale del 2020, in piena pandemia, aveva detto “Si fermi la produzione e il commercio delle armi, perché di pane e non di fucili abbiamo bisogno”. E all’Angelus di domenica 27 marzo aveva detto: “C’è bisogno di ripudiare la guerra, dove i potenti decidono e i poveri muoiono.
Ecco la bestialità della guerra atto barbaro e sacrilego”. Come non dargli ragione? Infatti, col passare delle settimane di una guerra che sappiamo quando è iniziata e non quando finirà, ci vengono alla mente le parole di Giovanni Paolo II: “Mai più la guerra, avventura senza ritorno”. Uno dei profeti del nostro tempo, don Tonino Bello, già presidente di PAX CRISTI, il 30 aprile 1989 all’arena di Verona invitava a una Pasqua di pace e diceva: “Se non abbiamo la forza di dire che le armi non solo non si devono vendere, ma neanche costruirle…rimarremo lucignoli fumiganti invece che essere ceri pasquali”.