Si andava per campi al mattino presto con le scarpe che si bagnavano di rugiada. A noi chierichetti sembrava un gioco seguire il vecchio parroco che sosteneva il lavoro dei contadini con le “rogazioni”, speciali preghiere per ottenere la pioggia sui raccolti. Poi l’abbandono delle campagne ha segnato anche l’abbandono di quelle preghiere.
Ora scopro con piacere che sabato 25 giugno l’Arcivescovo, Mons. Mario Delpini, accogliendo la preoccupazione dei coltivatori della terra, degli allevatori e delle loro famiglie in queste settimane di siccità, si è recato in tre chiese del territorio agricolo della Diocesi a pregare il santo Rosario per il dono dell’acqua, per il saggio utilizzo di questo bene vitale, per quanti soffrono il dramma della mancanza di risorse idriche.
Così l’Arcivescovo ha presentato l’iniziativa: «Nel tempo della guerra, la preghiera. Nel tempo della pandemia, la preghiera. Nel tempo della siccità, la preghiera. La preghiera per la fecondità della terra e la pioggia che viene dal cielo richiede la fede semplice dei bambini che si fidano del Padre che sta nei cieli».
La preghiera l’ho fatta anch’io, non andando per campi, ma davanti a un crocifisso che viene conservato in Parrocchia. I nostri vecchi dicevano che quando c’era bisogno di un tempo meteorologico favorevole, pregavano toccando il volto di Gesù in croce ed erano certi di essere esauditi. Lo abbiamo fatto in questi giorni e la pioggia è arrivata. Ma insieme alla preghiera forse vale la pena di riflettere su quanto scritto da Masanobu Fukuoka, autore di Agricoltura naturale, teoria e pratica per una filosofia green: “E’ stato in deserto americano che improvvisamente mi sono accorto che la pioggia non cade dal cielo, ma viene dalla terra. La formazione dei deserti non è dovuta all’assenza di pioggia, ma la pioggia smette di cadere perché la vegetazione è scomparsa. Costruire una diga in mezzo al deserto è come cercare di curare solo un sintomo… ma l’unico modo valido per aumentare le piogge è imparare a rigenerare le foreste antiche”.