Torno a riflettere, come già ho fatto con voi nelle ultime domeniche, sull’argomento che merita attenzione e approfondimenti. Lo spunto lo offre il Card. Zuppi presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).
Oggi il problema non è solo la riorganizzazione della struttura ecclesiale dovuta alla diminuzione die sacerdoti o alla riduzione della partecipazione alla Messa e ai Sacramenti. Oggi, dice il Card. Zuppi c’è bisogno di un cambio di passo specie in presenza di «un tempo emozionale e soggettivo» in cui «ogni cosa diventa fluida, anche quello che ieri sarebbe stato impensabile».
Di fronte a una umanità che sembra viaggiare sulle montagne russe, esaltandosi e deprimendosi in quella che il presidente della Cei ha definito «la drammatica vertigine della soggettività dell’io isolato» – bisogna avere un punto fermo, un faro nella notte, un’ancora di salvezza. E questa è la fede, appunto.
Ecco, credo la questione vera, non tanto la riorganizzazione, la “strategia” ma la fede. Il rischio che la Chiesa diventi irrilevante non è legato alla crisi dei numeri, come domenica scorso dicevo a voi, non conteggi, ma contagio, ma diventa irrilevante per la crisi della fede che non fa più cultura. Il pericolo che Zuppi evidenzia è la chiusura in una Chiesa intimistica, cioè fuori da mondo, o una Chiesa assistenzialista, cioè solo protesa a fare del bene.
Creare cultura, ha detto Zuppi, significa non essere né timidi, né pessimisti, né freddi funzionari, né tanto meno omologati al pensiero dominante. Al contrario, equivale ad assumere la logica del dinamismo missionario di papa Francesco e ispirare stili di vita profondamente permeati dal Vangelo, alla luce di una fede pensata che si offre essa stessa come risposta saggia.
Questa sfida è di tutti, nella Chiesa «una coscienza isolata non arriva vedere dove invece giunge uno sguardo comunitario e sinodale». Compito questo non solo dei sacerdoti, ma anche dei laici.