Le restrizioni che ci vengono richieste a causa del Covid19 non hanno trovato sempre una risposta convinta da parte di tutti. Abbiamo faticato a lungo prima di convincerci che questo, per il momento, è l’unico rimedio contro la pandemia. Qualcuno sottovaluta, qualcun altro irride e fa quello vuole. Ma vi invito, giusto per riprendere il trafiletto che ho scritto sul foglio di domenica scorsa, a cominciare a capire come “tutto non sarà più come prima”. Ho letto sul quotidiano Avvenire del 22 marzo questa interessante riflessione di Luigino Bruni dal titolo: Shabbat rinasce negli esili, che voglio condividere con voi.
“Stiamo vivendo una Quaresima civile che accumuna tutti, e, anche se non ce ne siamo ancora accorti, siamo dentro la più grande esperienza religiosa collettiva dalla Seconda guerra mondiale. Le code ordinate ai supermercati sembrano processioni, in quelle file si sente una solennità che le rende simili alle file per ricevere il pane eucaristico, di cui hanno preso il posto. Molti, mentre attendono l’esito del tampone del papà, si sono ricordati dell’unica preghiera ormai dimenticata e dopo decenni l’hanno recitata.
Le grandi crisi fanno risorgere le preghiere dell’infanzia, e finalmente le capiamo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Non stanno arrivando da noi missionari cinesi per evangelizzarci, come auspicava più di mezzo secolo fa don Lorenzo Milani; ma quando vediamo arrivare medici e infermieri cinesi e cubani, sentiamo che qualcosa di quella profezia si sta avverando”. È come se ci trovassimo in esilio, scrive Luigino Bruni, e aggiunge: “Chissà se questo nuovo esilio, se questa nuova “deportazione” dentro la nostra storia ci farà riscoprire il senso biblico dello shabbat (Sabato, riposo). Se il cristianesimo ha voluto includere l’Antico Testamento nel suo Libro (e grazie a Dio che lo ha fatto!), allora lo shabbat è parte anche del suo umanesimo. Quale economia avremmo avuto se avessimo davvero salvato la cultura dello shabbat? E invece non siamo stati capaci di fermarci, abbiamo lavorato e consumato sempre e quindi troppo, e abbiamo perso il ritmo del tempo, della natura, della vita, ci siamo squilibrati”.