Mai avremmo immaginato di essere spettatori di una Pasqua con i riti celebrati senza il popolo. Ci attanagliano ancora le restrizioni per arginare la diffusione del covid19. Non basta certo l’esplodere della primavera per cancellare un nemico invisibile e subdolo che continua a colpire creando ancora paura, angoscia e smarrimento. La morte ci è diventata vicina e colpisce persone che ci sono care, persone che hanno un volto e un nome, che sono state parte della nostra comunità.
Ci siamo accorti che non sono numeri su cui discutere, ma sono ferite aperte che lacerano l’anima. La morte è così vicina e non ci pensavamo. Dall’inizio della pandemia, settimana dopo settimana, siamo arrivati alla Pasqua e non pensavamo fosse così difficile riconoscere la presenza del Signore risorto. Il mondo che aveva decretato l’assenza di Dio si ritrova ora a fare i conti anche con il sentimento religioso, forse nascosto se non addirittura volutamente cancellato.
Ci siamo ritrovati improvvisamente a pregare perché l’arroganza delle città costruite senza Dio è crollata. Abbiamo celebrato i riti della Settimana Santa ricorrendo a tutti i mezzi che la tecnologia ci ha messo a disposizione, ma ci siamo accorti che non ci sono mancate le Messe, ma ci è mancata la bellezza di celebrarle insieme, di cantare, pregare, stringere mani, di cibarsi dell’Eucaristia.
Di questo sentiamo la mancanza.
Questo sicuramente un aspetto che ci manca e ci costa. Ma ci manca anche altro, non legato ai riti, ci manca la risurrezione per la nostra speranza. Con umiltà dobbiamo riconoscere che quando si affronta un pericolo estremo, la roccia alla quale appoggiarsi può essere solo chi ha vinto la morte.
Sia allora Pasqua per tutti.
Trovo difficile dire buona Pasqua, mi più facile dire sia una Pasqua buona per rafforzare la nostra speranza.