Li conosciamo ora che sono morti. Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci non devono essere ricordati per la morte ingiusta e tragica che hanno subito.
Stavano li in Congo “ad aiutarli a casa loro” come spesso abbiamo sentito nella retorica di chi auspica, ma non fa.
Vanno ricordati non per la morte ingiusta, ma per il loro modo di vivere da giusti. Chi di noi sapeva di loro? Chi di noi ha apprezzato il lavoro di tanti che a “casa loro” portano passione, competenza, intraprendenza, umanità? Purtroppo il finale tragico di vite apparentemente normali li porta alla ribalta dell’opinione pubblica.
Loro la miseria e l’ingiustizia non la vedevano da lontano, e hanno vissuto una forma di eroismo normale, compiendo ogni giorno il proprio dovere. Luca e Antonio il carabiniere vedevano ogni giorno miseria e ingiustizia e si prodigavano oltre il compito assegnato attivando opere umanitarie a favore di quelle popolazioni. Sul campo erano stimati e apprezzati. Ma il loro lavoro non arrivava a noi. Fanno parte di quell’Italia che senza clamore porta nel mondo il meglio della nostra storia, della nostra cultura aperta e solidale. Dentro un sogno: ridisegnare il mondo in quella terra, il Congo, preda di affamatori senza scrupoli interessati allo sfruttamento delle enormi risorse a disposizione.
Mario Delpini vescovo di Milano ha detto di Luca: “Ricordava il suo passato in oratorio, la sua educazione nella comunità cristiana, le radici della sua scelta professionale in una considerazione della fraternità universale che nella sua stessa famiglia si è realizzata”. Ho conosciuto bene i preti che hanno educato Luca e ho conosciuto il suo oratorio e i giovani che in quegli anni nella loro attività hanno dato vivacità all’oratorio e insieme si sono formati all’apertura al mondo, divenendo costruttori di ponti.
Da ora in poi il Congo sarà ancora più povero senza Luca e senza Antonio.