Ormai da tempo i colori dell’arcobaleno si sono ridotti a quattro: rosso, arancione, giallo, bianco. La cartina dell’Italia, come un puzzle, cambia le tessere ogni settimana.
Inseguiamo ormai da mesi il variare dei colori dimenticando che la pandemia, che non dà tregua, sta sollecitando, anche per la Chiesa, alcune riflessioni utili al cammino di fede. La pastorale ha lavorato molto negli anni scorsi sulla comunità, sulle parrocchie, ma ha forse trascurato l’importanza della casa e della vita nelle famiglie.
Buona parte della pastorale è stata fatta, e per certi aspetti si fa ancora, in parrocchia: celebrazioni liturgiche, incontri di formazione, catechesi, vita associativa. Ma a poco a poco col passare degli anni la casa è diventata neutra, quasi estranea alla vita di fede e alla cura della fede. I più anziani ricordano quando nelle case si pregava, si recitava il rosario, si conservavano oggetti religiosi, si benediva la tavola, al venerdì alle tre si ricordava l’ora della morte di Gesù, ecc. Oggi molte belle tradizioni sono svanite, e la responsabilità è anche delle parrocchie che hanno concentrato i percorsi di fede negli spazi parrocchiali, dimenticando la casa e la famiglia.
Nella pandemia ci siamo accorti che abbiamo tolto il polmone della casa, alla vita religiosa. Con le restrizioni e i protocolli che limitano al minimo l’attività comunitaria è venuta a mancare la normale attività religiosa nelle parrocchie. Il catechismo a distanza, le riunioni pastorali da remoto, le celebrazioni religiose in streaming li stiamo considerando dei “ripieghi”. E se provassimo invece a considerarli come una possibilità nuova per ritrovare lo spazio della casa come spazio della fede? Se riprovassimo a tornare a pregare insieme in famiglia? Se “la consegna a domicilio” dei riti religiosi li considerassimo come un invito a riportare la casa come luogo della preghiera e della fede?
Inventiamo nuovi segni, e modi nuovi per nutrire la fede anche nelle nostre case.