“La meditazione della santità si sovrappone al quadro sperimentale della vita presente, che non è sempre né molto bello, né troppo confortante, tanto che spesso la santità ci appare un'utopia ideale, troppo alta e troppo difficile. Ma così non è. Codesto è un pensiero scoraggiante, che attenta alla fedeltà della nostra vocazione cristiana. Il Concilio l'ha ripetuto a chiare note: «tutti nella Chiesa ... sono chiamati alla santità» (Lumen Gentium, 39). E l'esempio dei nostri Fratelli e delle nostre Sorelle che l'hanno raggiunta questa santità, in grado singolare ed in alcune figure in grado perfetto, non ci deve scoraggiare, come se la santità fosse una perfezione irraggiungibile, troppo difficile e troppo rara. Ricordate l'esortazione d'un autentico Santo: «se questi e queste (che ora veneriamo in paradiso, vi sono arrivati), perché non io?». Oggi l'esempio dei Beati e dei Santi ci conforta in modo decisivo: la santità, quella ordinaria almeno, non solo è possibile, ma è facile. Così la rende la grazia di Dio, proponendola come obbligatoria; diventa un problema di volontà. Per rispondere a questa vocazione fondamentale non è mai troppo presto, come non è mai troppo tardi. E poi dobbiamo pensarla in bellezza la santità: essa è l'umanità nella sua eccellente e vera espressione. Il vero umanismo, quello degno d'ogni ammirazione, quello ispiratore, è la santità, è la nostra divinizzazione. Come pure, noi abituati a tutto considerare in funzione dell'utilità sociologica, dobbiamo riconoscere che per il bene del mondo nulla è più utile, più indispensabile della santità, anche se individuale e solitaria, e tanto meglio se operosa e consacrata al servizio del prossimo. Ne parla la storia, ancor oggi. Facciamo, dunque, nostro il programma della santità” (San Paolo VI, Angelus del 1° novembre 1975).