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ASCENSIONE DEL SIGNORE
Gesù, “mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi” (At 1,9)
“C’è un dovere di testimonianza, che promana direttamente dalla nostra fede. Non si può celebrare l’esaltazione di Gesù Signore e poi condurre una vita disimpegnata. Siamo invitati a rinnovare i nostri impegni di apostolato, mettendo nelle mani del Signore i nostri propositi. Ciò facendo, dobbiamo mantenere viva la certezza che la sua Ascensione al cielo non è stata una partenza, ma soltanto la trasformazione di una presenza che non viene meno. Cristo è tra noi ancor oggi; egli è con noi. «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Solo di qui deriva la nostra forza, ma anche la nostra costanza e la nostra gioia”. (San Giovanni Paolo II, Ascensione del Signore, 20 maggio 1982).
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“Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio»” (Gv 15,26-27).
La prima cosa che lo Spirito Santo Paràclito, cioè avvocato difensore, compie è quella di dare testimonianza di Gesù. Lo Spirito Santo è Colui che, mandato da Gesù, ci introduce alla pienezza della verità, che è Gesù stesso. Lo Spirito Santo è unito al Padre e al Figlio Gesù; è lo Spirito di Gesù che il Padre ci manda. Per aver ricevuto lo Spirito di Gesù nel Battesimo, diventiamo il prolungamento di Gesù nel mondo, la testimonianza di Gesù e a Gesù.
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“Stefano rispose a tutti quelli che sedevano nel sinedrio: «Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori, voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini dati dagli angeli e non l'avete osservata». All'udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano” (At 7,51-54).
Stefano rappresenta il discepolo del Signore. L’essere discepoli di Gesù comporta un contatto permanente con il Maestro. La vita del discepolo è vita con il Signore Gesù. Non è un incontro passeggero. È andare dove va Gesù e con Gesù, affrontando ogni situazione. Stefano non ha avuto paura di rendere la sua testimonianza a Gesù di fronte al sinedrio dei giudei. Egli ripercorre tutta la storia della salvezza, per giungere fino a Gesù, messo a morte, come furono perseguitati e uccisi i profeti prima di Cristo. Stefano sa che nella storia della salvezza c’è anche il suo essere discepolo di Gesù, il discepolo che lo segue fino al martirio. Egli, meditando la Parola, comprende la sua vocazione, il suo presente, la sua missione, la sua vita di discepolo, la sua testimonianza nel martirio.
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“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10,27).
Gesù buon pastore ci conosce tutti, ad uno ad uno; a Lui occorre dare una risposta, che non può fare a meno dell’ascoltare e del seguire. Per poter ascoltare è necessario anzitutto riconoscere la sua voce di pastore, distinguere la sua voce da quella di tanti falsi pastori. Ascoltare Gesù significa seguire i suoi insegnamenti, aderire a Lui con libertà e con gioia, per non separarci più da lui. È camminare con Lui per metterci sotto la sua guida. L’ascolto e la sequela sono un gesto di amore, sono una risposta di amore. È questo un nostro preciso dovere di cristiani; altrimenti verrebbe meno il nostro essere cristiani. Anche se oggi ci sono alcuni che si autoproclamano pastori, noi sappiamo però che uno solo è il vero pastore; è Colui che ha detto: “Io sono il buon pastore”. Staccarsi da Gesù Cristo vuol dire smarrirsi, rinunciare alla salvezza stessa, trovarci ad un certo momento della vita nella più profonda tristezza, perché abbiamo abbandonato Chi ci può dare speranza. Eppure, se solo poniamo in Lui la nostra fiducia e alziamo un po’ lo sguardo dalle cose materiali, per fissare i nostri occhi nei suoi occhi, ci sentiamo accolti, custoditi, guidati e amati.
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“Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv 14,1).
Queste parole di Gesù sono per i discepoli un invito a non divenire preda dello scoraggiamento, a non lasciarsi prendere dalla paura. Egli, che per essi è il Maestro, non li vuole abbandonare senza un riferimento, un aiuto. Gesù conosce bene i discepoli e noi, sa delle loro e nostre debolezze; Egli conosce la nostra inadeguatezza, perché non siamo pronti a tutto, non siamo tenaci; c’è in noi tanta debolezza e arrendevolezza di fronte alla prima difficoltà. Eppure Gesù non ci giudica in base alle nostre capacità, a quello che riusciamo a fare. Gesù invece desidera per noi pace, gioia, serenità, anche se ci trovassimo nella condizione di smarrirci lontano da Lui. Da qui nasce l’invito alla fiducia, la fiducia in Dio. Gesù conosce il nostro cuore nella sua profondità, sa delle nostre paure, delle nostre stanchezze, delle nostre delusioni, della nostra inquietudine. A Lui nulla sfugge. Da Lui a noi viene l’invito ad abbandonarci alla sua pace, quella pace che per il credente diventa l’orizzonte entro cui abbandonare ogni paura e tristezza.