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“In quel tempo. Il Signore Gesù espose ai suoi discepoli un'altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò»” (Mt 13, 24-25).
La parabola del buon seme e della zizzania ci parla del regno di Dio, che non si impone con violenza, ma si diffonde liberamente; non annienta le opposizioni, ma coesiste, lottando contro le forze del male, rappresentate dalla zizzania. Vediamo qui all’opera la pazienza di Dio, che fa risaltare l’impazienza delle persone, nella parabola rappresentate dai servi, che vorrebbero porre mano subito all’eliminazione della zizania. Dio invece lascia crescere insieme seme buono e zizzania. Questo è lo stile di Dio e così deve essere lo stile del cristiano. La pazienza di Dio ci deve perciò insegnare ad evitare di essere impazienti con Lui, quasi che la nostra preghiera sia una questione di dare e avere. La pazienza di Dio ci deve insegnare anche ad essere pazienti verso noi stessi e a vivere il nostro rapporto con gli altri vedendo in essi, più che i difetti, ogni più piccolo segno di bene.

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«Il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: "Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?". Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi» (Mt 20, 13-16).
La parabola chiede di metterci nella prospettiva di Dio. La spiegazione del modo di agire del padrone sta nel suo voler essere “buono”. Ricordiamo quanto Gesù ha detto un giorno ad un giovane che lo aveva interrogato: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo” (Mc 10,18). Occorre perciò scrutare bene il cuore di Dio, che è buono, per capire meglio la sua misericordia. Perciò il comportamento di Dio, descritto dal comportamento del padrone nella parabola, non manifesta un atteggiamento arbitrario, ma è il gesto di chi è animato dalla bontà, di chi è generoso, di chi è pieno di sensibilità per gli altri.

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Gesù chiese al dottore della Legge: «Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10, 36-37).
La parabola del buon Samaritano scorre tra due domande. La prima è quella del dottore della Legge: “Chi è mio prossimo?”, cioè fin dove arriva il comandamento dell’amore, come posso soddisfare questo precetto?, quando posso sentirmi a posto di fronte a Dio per quello che faccio per gli altri? La seconda domanda, al termine della parabola, è quella di Gesù, il quale rovescia la domanda che gli era stata fatta: Non più “Chi è il mio prossimo”, ma “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”. Non è sapendo chi ci è prossimo che si vive la virtù della carità, ma facendoci prossimo all’altro, sempre.

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Gesù rispose ai Giudei: “Io sono il pane della vita… Io sono il pane vivo, disceso dal cielo " (Gv 6, 48.51a).
Sostenuti da queste parole, possiamo percorrere nella fede il cammino della vita, sorretti dal dono di Gesù, l’Eucaristia: è il Corpo di Gesù donato, è il suo Sangue versato. L’Eucaristia è un mistero così grande che non ammette parole inutili, che non sopporta mormorazione, che chiede di non rinnegare il dono dell’immenso amore di Gesù per noi. Con Lui il nostro passo non conosce incertezza, non perde direzione, non patisce debolezza.

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FESTA DI SANT’EUFEMIA - PATRONA DELLA COMUNITÀ PASTORALE
S. Eufemia è la giovane martire di Calcedonia (nell’attuale Turchia, sulla sponda del Bosforo, sull’altra sponda rispetto ad Istanbul), nella cui basilica si svolse nel 451-452 il Concilio di Calcedonia. Eufemia subì il martirio il 16 settembre del 303. Il Concilio di Calcedonia favorì la diffusione del suo culto anche in Occidente; sorsero perciò diverse chiese a lei dedicate, come la nostra chiesa di Incino, sul finire del secolo V, e quella di Oggiono. Asterio, vescovo di Amasea tra il 380 ed il 410, parla dell'esistenza di un culto a S. Eufemia. Il vescovo poi informa indirettamente su come avvenne il martirio della santa, raffigurato in alcuni affreschi di una chiesa. In uno di essi è rappresentato il processo; in un altro la tortura; in un altro ancora Eufemia gettata in prigione e assorta in preghiera; infine l’ultima scena la ritrae nell’atto del martirio sul rogo, con le braccia alzate al cielo.