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«Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù» (Lc 1,31).
Maria, madre di Cristo e della Chiesa
I fedeli e tutta la Chiesa amano invocare Maria soprattutto con questo appellativo di Madre. Questo nome rientra certamente nel solco della vera devozione a Maria, perché si fonda saldamente sulla dignità di cui Maria è stata insignita in quanto Madre del Verbo di Dio Incarnato. Come infatti la divina Maternità è la causa per cui Maria ha una relazione assolutamente unica con Cristo ed è presente nell’opera dell’umana salvezza realizzata da Cristo, così pure soprattutto dalla divina Maternità fluiscono i rapporti che intercorrono tra Maria e la Chiesa; giacché Maria è la Madre di Cristo, che non appena assunse la natura umana nel suo grembo verginale unì a sé come Capo il suo Corpo mistico, ossia la Chiesa. Dunque Maria, come Madre di Cristo, è da ritenere anche Madre di tutti i fedeli e i Pastori, vale a dire della Chiesa. È questo il motivo per cui noi, benché indegni, benché deboli, alziamo tuttavia gli occhi a lei con animo fiducioso ed accesi dell’amore di figli. Lei che ci ha dato un giorno Gesù, fonte della grazia soprannaturale, non può non rivolgere la sua funzione materna alla Chiesa. (Allocuzione del Papa Paolo VI a conclusione della III sessione del Concilio Vaticano II, 21 novembre 1964). I fedeli, che vivono con la Liturgia lo spirito dell'Avvento, considerando l'ineffabile amore con cui la Vergine Madre attese il Figlio, sono invitati ad assumerla come modello e a prepararsi per andare incontro al Salvatore che viene, vigilanti nella preghiera, esultanti nella sua lode. (Marialis Cultus, Esortazione Apostolica del Papa Paolo VI, 2 febbraio 1974).
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«Io sono voce di uno che grida nel deserto: rendete diritta la via del Signore» (Gv 1,23).
Occhi aperti, orecchio teso, anima pronta a cogliere le voci del Signore
L’avviso del Precursore suona appunto così, nel Vangelo di questa mattina; «Dirigite viam Domini»: bisogna che rettifichiate la vita per l’incontro con Dio. Quasi dicesse: badate che Egli può passarvi vicino senza che ve ne accorgiate: e se non disponete bene le vostre anime, e non volgete i vostri passi verso di Lui, l’incontro potrebbe mancare. Può infatti, capitare la tremenda sventura: taluni che guardano, e non vedono nulla, hanno l’orecchio e non sentono. La Grazia dell’Onnipotente potrebbe dunque passare senza che fosse a me destinata. Come risuona ammonitrice la frase di S. Agostino: «timeo transeuntem Deum»! Io temo che Iddio mi si avvicini senza che io me ne accorga. Che cosa devo fare? È indispensabile tenere gli occhi aperti; l’orecchio teso; l’anima idonea e pronta a cogliere le voci del Signore. Io devo offrire a Dio il mio cuore, l’appuntamento sarà dentro di me. Sempre Dio si concederà a noi, purché di Dio nutriamo vivo desiderio. Lo desideriamo Dio? Abbiamo sete di Lui? Il cuore nostro invoca: dove sei? come ti riveli? vuoi tu parlarmi, o Signore? Quest’ansia dell’anima in cerca di Dio si definisce preghiera. E noi, preghiamo? Forse Egli è vicino, già alle soglie della nostra anima: tocca a noi compiere l’atto volenteroso ed esclamare: Vieni, o Signore Gesù! (Discorso di S. Paolo VI durante l’incontro con l’Unione dei giuristi cattolici, 15 dicembre 1963).
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«Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide» (Mc 11,10).
Gesù è il Cristo, il mandato da Dio, il Salvatore, il Messia
Che cosa significava questa accoglienza, così gioiosa e così clamorosa? Questo è importante notare. Il momento si fa drammatico, e acquista il suo significato, decisivo per la storia e per la comprensione del Vangelo; il significato consiste nel riconoscimento e nella proclamazione del carattere messianico di Gesù. Egli è Colui che doveva venire. Egli è qui, dopo l’attesa di secoli, passata nella coscienza delle generazioni; Egli è il figlio di David! Egli è il Cristo! Gesù è il Cristo, il mandato da Dio, il Salvatore, il Messia, è il centro della storia, è il Re dei Giudei. Fratelli, Giovani specialmente, pensate bene a quanto vi diciamo: questa celebrazione, che riguarda la proclamazione di Gesù Messia, di Gesù il Cristo, di Gesù, nostro Salvatore, riguarda altresì il nostro destino, la nostra scelta primaria. Ora osservate: chi in quel giorno fatidico ebbe l’intuizione che Gesù di Nazareth era Lui il Messia, era Lui il figlio di David, era Lui il Salvatore atteso e promesso? Fu il Popolo, e fra il Popolo più entusiasti ed attivi furono i Giovani. Essi furono gli araldi del Messia. Essi indovinarono. Quali sono le voci più qualificate per l’annuncio di questo beato messaggio al mondo? sono quelle del Popolo di Dio, sono le vostre. Due concezioni del mondo, della verità, della vita: quale scegliete? Due sentimenti riempiano allora i vostri cuori: il coraggio e la gioia! (Dall’omelia di san Paolo VI dell’11 aprile 1976).
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«Voi scrutate le Scritture: sono proprio esse che mi rendono testimonianza» (Gv 5,39).
La fede in Cristo, luce e gioia del mondo
Quando sul quadrante del nostro calendario ritorna il Natale una questione si presenta allo spirito dell'umanità: dunque Gesù: chi era Gesù? La nostra fede esulta, e grida: è Lui, è Lui, il Figlio di Dio fatto uomo; è il Messia che aspettavamo: è il Salvatore del mondo, è finalmente il Maestro della nostra vita; è il Pastore che guida gli uomini ai suoi pascoli nel tempo, ai suoi destini oltre il tempo, è la gioia del mondo. Il tempo dell'Avvento, nel quale ci troviamo, ci obbliga alla scoperta della vera condizione della vita umana e della nostra meravigliosa fortuna d'aver Cristo nostro fratello, Dio fatto uomo per la nostra salvezza. Il Verbo di Dio infatti si è fatto uomo affinché l'uomo potesse essere associato alla vita stessa di Dio. L'uomo ha bisogno di Cristo. Da sé egli non si salva. Lo sforzo di escludere Cristo dal pensiero moderno, dai principii direttivi del sapere e dell'attività umana, nonostante i meravigliosi progressi della civiltà contemporanea, ha per risultato, e spesso anche a breve termine, l'incertezza e poi la confusione con risultati ben tristi sull'organizzazione della convivenza degli uomini fra loro. Il Natale di Cristo è perciò festa grande per il mondo che cresce e aspira alla pienezza della vita. Non spegniamo la lampada centrale del Natale, ch'è la fede nel Verbo di Dio fatto uomo, ma teniamola accesa affinché la luce, la bontà, la gioia di Cristo si diffonda nelle nostre anime e nelle nostre case. E ricordiamo che Maria è la portatrice di questa lampada. (Dal discorso di san Paolo VI per l'udienza generale dell'11 dicembre 1974 e dall'Angelus Domini del 4 dicembre 1977).
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«Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre» (Mt 3,9).
Il nostro rapporto con Dio
Il nostro grande problema qual è? È quello del nostro rapporto con Dio. La nostra concezione della vita non può prescindere dal considerare questo rapporto, per negarlo, per discuterlo, per affermarlo. Non bastiamo a noi stessi per risolvere positivamente il grande problema del rapporto con Dio; e siamo perciò assimilati, sotto questo aspetto del bisogno d’essere salvati, per via della misericordia e dell’amore di Dio verso l’uomo, ad ogni altro essere umano ateo o indifferente che sia. Ma se vogliamo che il sole illumini la stanza della nostra anima dobbiamo aprirgli la finestra. Come si chiama evangelicamente e teologicamente questa finestra? Si chiama conversione, cioè quel cambiamento interiore ed esteriore che rende l’uomo suscettibile dell’intervento divino. Ancor prima di parlare di “conversione”, proviamo a parlare di “orientamento”; domandiamo a coloro che sono ancora alle soglie del mondo religioso, di dare al problema, un semplice sguardo, un semplice orientamento, della loro attenzione. È questo un atto umano e onesto, quello di rivolgere al problema di Dio una riflessione, orientarsi verso l’inestinguibile faro del Dio nascosto, del Dio vivente. (Dai discorsi di San Paolo VI per le udienze generali del 5 dicembre 1973 e del 14 dicembre 1977)