La festa di Sant’Eufemia quest’anno riveste un triplice significato.
Anzitutto è l’occasione gioiosa per dare il nostro più caloroso e fraterno benvenuto a Don Claudio, che abbiamo avuto modo di accostare e apprezzare nelle prime settimane della sua presenza tra noi. Gli vogliamo dire, insieme alla nostra gratitudine, la nostra vicinanza, soprattutto con la preghiera e l’offerta della nostra collaborazione. Un cristiano è adulto se è vicino ai suoi sacerdoti, accompagnandoli nel loro ministero. La destinazione di un sacerdote, Don Claudio appunto, alla nostra Comunità Pastorale da parte dell’Arcivescovo non può essere un alibi per tirarsi indietro. La collaborazione con la Casa della Gioventù, che con generosità alcuni hanno offerto nei mesi scorsi, non solo deve continuare, ma deve divenire più convinta e costante.
Don Claudio è stato inviato tra noi anche con l’incarico della pastorale giovanile dell’intera Città di Erba. È il segno dell’importanza che la Chiesa attribuisce ai ragazzi, agli adolescenti e ai giovani. Nella nostra Città, che purtroppo soffre di un importante calo della natalità, non mancano adolescenti e giovani che hanno perso ogni riferimento alla vita cristiana, vuoi per la difficoltà della Comunità a “parlare” loro, vuoi per “l’assenza educativa” delle famiglie. Nelle serate dei mesi estivi, fino a notte inoltrata, piazza Prepositurale è stata testimone di presenze – tanti adolescenti e giovani provenienti anche da vicini paesi – che qualche domanda pongono alla Comunità ecclesiale e alla Comunità civile.
La nostra Comunità Pastorale è giunta a compiere il tredicesimo anno di vita. È innegabile come si sia fatta un bel tratto di strada, giungendo a vivere esperienze di comunione e di condivisione nella fede e nell’amore. Tuttavia è anche evidente che, per essere autentica Comunità dei discepoli del Signore, tanta strada rimane ancora da fare, vincendo inerzie e resistenze, anche in chi forse – il mio non è un giudizio sulle persone – dovrebbe essere più convinto non solo che da questa scelta pastorale non si torna indietro, ma anche e soprattutto che il volto di Chiesa che dobbiamo vivere e mostrare è quello narrato negli Atti degli Apostoli: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (4,32). Il “mio” e il “tuo” devono fare spazio al “nostro”; non vuol dire che il “mio” e il “tuo” debbano sparire, ma devono dare forza ed alimento al “nostro” e al “noi”, che esprime il cammino di una vera Comunità.
Mons. Angelo Pirovano