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Venne “Ad abitare” in mezzo a noi: il Verbo di Dio ha preso casa in mezzo a noi. Pensiamo alle nostre case, il luogo dove, più di ogni altro, la fede vissuta “prende carne”, dove sono custoditi i desideri di bene di ciascuno, a partire dai più piccoli e fragili. Giovanni il Precursore ci aiuta a recuperare il tema dell’adempimento delle antiche profezie e a sentirci parte di una storia che va oltre noi. Le nostre case diventano il luogo accogliente per un Dono, diverso dagli altri perché completamente gratuito: non obbliga nemmeno al sentimento arido della riconoscenza obbligata (“mi ha fatto un regalo, devo fargli un regalo”), ma chiede piuttosto di assumere la medesima capacità di dare senza chiedere nulla.

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“Venne...”: la venuta del Signore, accaduta una volta per sempre nella storia, chiede alla nostra coscienza di interrogarsi sulla capacità di accoglienza. Giovanni Battista ci aiuta a recuperare il tema della conversione. Il tempo di avvento ci fa entrare progressivamente nel mistero della salvezza. Questo mistero inizia con la missione di un messaggero, inviato direttamente da Dio, per preparare il popolo ad accoglierlo. Gesù viene nella nostra vita ogni giorno grazie alla presenza di persone che ci sostengono nella crescita. Grazie alla loro vicinanza, noi stessi impariamo a farci prossimo degli altri.

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Venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14)
La nostra Comunità Pastorale ha scelto questo versetto del prologo del vangelo di Giovanni come tema per stimolare la riflessione di tutti durante questo Avvento. Ogni parola del versetto ci lascia uno spunto fondamentale, che porteremo avanti, nella predicazione e con altrettanti impegni, durante le quattro domeniche centrali di questo tempo forte.

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Cristo Gesù “svuotò se stesso assumendo una condizione di servo” (Fil 2,7).
La solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo ci interroga sul significato della sua regalità. Quale deve essere il nostro atteggiamento nei confronti di questo appellativo? Ha ancora senso parlare di Cristo re dell’universo? San Paolo nella lettera ai Filippesi ci mette nella giusta prospettiva per comprendere la regalità di Cristo, che non sta nelle categorie umane di potere e di dominio. Gesù non è venuto per dominare, per reprimere, per essere servito. Cristo “svuotò se stesso assumendo una condizione di servo”. È venuto per servire, per donare la pace, per offrire la sua stessa vita, per liberarci dal potere delle tenebre, cioè dal male.

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“Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: «Venite, è pronto». Ma tutti, uno dopo l'altro, cominciarono a scusarsi” (Lc 14,16-18).
Tanto grande è l’invito di Dio quanto meschine sono le scuse presentate per non accettare l’invito. Il primo ha acquistato un campo e deve venderlo; il secondo ha comprato cinque paia di buoi e deve provarli; l’ultimo deve sposarsi e non può accettare. Sembra che tutti abbiano impegni importanti, che non si possono evitare. Tuttavia dietro quei “no”, dietro quelle risposte negative c’è una precisa decisione di coloro che sono invitati: essi vogliono affermare il primato di sé, delle proprie cose, come il campo, i buoi, il matrimonio, rispetto all’urgenza di partecipare al banchetto del Regno, di partecipare quindi alla missione della Chiesa, che è quella di annunciare il Vangelo, perché si compia il Regno di Dio, che è Regno di amore, pace, gioia. Perciò Gesù conclude la parabola con le parole del padrone: “Nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena” (Lc 14,24).