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La venuta del Signore
Questa prima domenica di Avvento ci invita a vivere la dimensione dell’attesa del ritorno del Signore alla fine dei tempi nella sua venuta gloriosa e definitiva. Il Vangelo infatti presenta la seconda venuta di Gesù nella gloria. Nell’angoscia di tempi duri, ora come allora, può venir meno la speranza del futuro e con essa la gioia del desiderare di accogliere nuovi figli, di investire sulle nuove generazioni, di sognare la quiete dopo la tempesta. La pandemia, come la tragedia preannunciata dal brano evangelico, può strozzare in gola il respiro, facendoci temere il futuro e ripiegare su un presente fine a se stesso. Siamo capaci di gettare il cuore oltre l’ostacolo? Continuando a seminare il bene, certi che questo male passerà. Scopriamo ciò che siamo, con coraggio.
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La solennità di Cristo Re dell’Universo ci chiede di riconoscere il ruolo insostituibile e centrale di Gesù Cristo nella storia: Egli è colui che progetta la storia umana e la conduce ad un fine di amore e verità. E allo stesso tempo significa ricordare a noi credenti che Gesù Cristo è l’unico Signore a cui orientare la propria storia personale e comunitaria.
È perciò necessario metterci in ascolto, in atteggiamento di paziente attesa, con la disponibilità di chi sa che è l’amore di Dio a condurre le opere e i giorni. Lasciamoci interrogare, oltre che dalla Parola, anche dalla storia, dal nostro tempo, dalla vita degli uomini e delle donne, che condividono con noi il cammino in questo mondo.
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“La meditazione della santità si sovrappone al quadro sperimentale della vita presente, che non è sempre né molto bello, né troppo confortante, tanto che spesso la santità ci appare un'utopia ideale, troppo alta e troppo difficile. Ma così non è. Codesto è un pensiero scoraggiante, che attenta alla fedeltà della nostra vocazione cristiana. Il Concilio l'ha ripetuto a chiare note: «tutti nella Chiesa ... sono chiamati alla santità» (Lumen Gentium, 39). E l'esempio dei nostri Fratelli e delle nostre Sorelle che l'hanno raggiunta questa santità, in grado singolare ed in alcune figure in grado perfetto, non ci deve scoraggiare, come se la santità fosse una perfezione irraggiungibile, troppo difficile e troppo rara. Ricordate l'esortazione d'un autentico Santo: «se questi e queste (che ora veneriamo in paradiso, vi sono arrivati), perché non io?». Oggi l'esempio dei Beati e dei Santi ci conforta in modo decisivo: la santità, quella ordinaria almeno, non solo è possibile, ma è facile. Così la rende la grazia di Dio, proponendola come obbligatoria; diventa un problema di volontà. Per rispondere a questa vocazione fondamentale non è mai troppo presto, come non è mai troppo tardi. E poi dobbiamo pensarla in bellezza la santità: essa è l'umanità nella sua eccellente e vera espressione. Il vero umanismo, quello degno d'ogni ammirazione, quello ispiratore, è la santità, è la nostra divinizzazione. Come pure, noi abituati a tutto considerare in funzione dell'utilità sociologica, dobbiamo riconoscere che per il bene del mondo nulla è più utile, più indispensabile della santità, anche se individuale e solitaria, e tanto meglio se operosa e consacrata al servizio del prossimo. Ne parla la storia, ancor oggi. Facciamo, dunque, nostro il programma della santità” (San Paolo VI, Angelus del 1° novembre 1975).
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«La missione è risposta, libera e consapevole, alla chiamata di Dio. Ma questa chiamata possiamo percepirla solo quando viviamo un rapporto personale di amore con Gesù vivo nella sua Chiesa. Chiediamoci: siamo pronti ad accogliere la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, ad ascoltare la chiamata alla missione, sia nella via del matrimonio, sia in quella della verginità consacrata o del sacerdozio ordinato, e comunque nella vita ordinaria di tutti i giorni? Siamo disposti ad essere inviati ovunque per testimoniare la nostra fede in Dio Padre misericordioso, per proclamare il Vangelo della salvezza di Gesù Cristo, per condividere la vita divina dello Spirito Santo edificando la Chiesa? […] Questa disponibilità interiore è molto importante per poter rispondere a Dio: “Eccomi, Signore, manda me” (cfr Is 6,8)» (dal Messaggio del Papa per la Giornata Missionaria Mondiale).
Alle porte della Chiesa potremo contribuire alle opere missionarie attraverso un contributo in cambio di semplici frutti di stagione, segno della condivisione con chi è a servizio del Vangelo e della promozione dei più poveri.
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Dedicazione del Duomo di Milano
Si deve a San Carlo Borromeo la festa della Dedicazione del Duomo di Milano ogni anno alla terza domenica di ottobre. Il Santo Arcivescovo dedicò al culto il Duomo il 20 ottobre 1577, terza domenica del mese; da quell’anno in poi, la terza domenica di ottobre fu riservata alla celebrazione della Dedicazione della Chiesa Madre di tutti i fedeli ambrosiani. La festa non è solo occasione per ricordare un edificio, bello fin che si vuole, ma pur sempre un edificio, sia pure ricco di storia, di arte; la festa è motivo per celebrare ciò che l’edificio materiale rappresenta, cioè l’edificio spirituale, la Chiesa ambrosiana raccolta attorno al suo Arcivescovo. Occorre perciò ravvivare in noi il senso dell’appartenenza alla Comunità diocesana, per sentirci ed essere sempre più fratelli e sorelle nel Signore, che insieme condividono un cammino di fede e di amore.