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“Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21).
Gesù, con queste parole, sembra non dare una risposta all’apostolo Filippo, che gli aveva chiesto: “Mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14,8), È vero che Dio non può essere visto con i nostri occhi. Tuttavia, se “nessuno mai ha visto Dio” (1Gv 4,12), il nostro Dio può essere incontrato nella misura in cui accettiamo di accogliere l’invito di Gesù ad amarci “come io vi ho amati” (Gv 13,34). Come si sente e si vede Dio? Solo se entriamo nella prospettiva dell’osservare i suoi comandamenti, la sua parola, il suo modo di amare che arriva fino al dono di sé in Gesù, il dono della sua stessa vita. E se così facciamo, manifestiamo che crediamo in Gesù, ci fidiamo di Lui, ci affidiamo a Lui. In questo modo Dio Padre si manifesta a noi senza alcuna riserva.

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“Il buon pastore dà la propria vita per le pecore” (Gv 10,11b).
60A GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI
La 60a Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni ci invita a riscoprire come è nel dialogo con Gesù, in ascolto della sua Parola, che la vita assume il volto e i tratti della vocazione. In questa Giornata, siamo invitati a pensare ancora una volta alla vita come vocazione, come via nel seguire il Signore per servire la Chiesa e per costruire un mondo più vero e giusto. Di seguito riportiamo alcune parole del Papa, tratte dal suo Messaggio per questa Giornata: «Quest’anno vi propongo di riflettere e pregare guidati dal tema “Vocazione: grazia e missione”. È un’occasione preziosa per riscoprire con stupore che la chiamata del Signore è grazia, è dono gratuito, e nello stesso tempo è impegno ad andare, a uscire per portare il Vangelo. Siamo chiamati alla fede testimoniale, che stringe fortemente il legame tra la vita della grazia, attraverso i Sacramenti e la comunione ecclesiale, e l’apostolato nel mondo. Animato dallo Spirito, il cristiano si lascia interpellare dalle periferie esistenziali ed è sensibile ai drammi umani, avendo sempre ben presente che la missione è opera di Dio e non si realizza da soli, ma nella comunione ecclesiale, insieme ai fratelli e alle sorelle, guidati dai Pastori. Perché questo è da sempre e per sempre il sogno di Dio: che viviamo con Lui in comunione d’amore».

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“Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29).
Con queste parole Giovanni Battista indica Gesù che viene verso di lui. Come non pensare all’agnello pasquale e quindi alla Pasqua? È con la sua passione, morte e risurrezione che Gesù toglie il peccato del mondo. Gesù, con il suo sacrificio, è l’unica vittima della nuova alleanza. Gesù ha offerto la vita per liberarci dalla schiavitù del peccato. Gesù toglie il peccato del mondo. Non si parla di peccati, ma del peccato. E non si parla delle singole persone, ma del mondo. Questo vuole dire che, prima dei singoli peccati, c’è la necessità di una liberazione da una forza che ci opprime e che a volte ci fa dire: ma come è possibile che avvenga questo nel mondo, che la gente pensi in questo modo sbagliato, che dica cose che al solo pensiero fanno rabbrividire, che si proponga di agire in un modo che mai potremmo pensare giusto? Questo è il peccato del mondo, da cui sono permeati i singoli peccati. E Gesù è colui che ci vuole liberi – e ci rende liberi - dal male, dal peccato del mondo.

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“I discepoli gioirono al vedere il Signore” (Gv 20,20).
La sera del giorno di Pasqua, i discepoli fanno l’esperienza, inaspettata e insperata, della presenza di Gesù Risorto davanti a loro, nel luogo dove essi si erano rifugiati per paura dei Giudei. È una gioia grande, vera, profonda, la loro: vedere il Signore!, Gesù che era stato ucciso sulla croce e il cui corpo era stato posto nel sepolcro. Proviamo a immaginare il loro stato d’animo. Con Gesù i discepoli avevano condiviso un intenso cammino di vita, un cammino intessuto di fede e di amore. Sembrava che tutto fosse finito con la sua morte, che ogni speranza fosse stata delusa, che ogni esperienza fosse stata inutile, che ogni desiderio fosse stato vano. Ora, invece, tutto rinasce perché Gesù è risorto. Così è stato per i discepoli. E così sarà otto giorni dopo anche per Tommaso, che non era presente quella sera con gli altri apostoli. La sua incredulità lascerà il posto alla fede: “Mio Signore e mio Dio!”.

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Maria di Magdala “si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» - che significa: «Maestro!»” (Gv 20,14-16).
Oggi è Pasqua, festa di risurrezione e di vita. La celebriamo nel segno della speranza, della vita che rinasce, ma anche nell’attesa di una pace che invochiamo con insistenza. Su tutti e tutto si erge la Pasqua di Cristo. Egli, nostra Pasqua, è principe della pace, ama la pace, dona la pace e chiede di accoglierla. Celebriamo la Pasqua però senza staccare gli occhi dalla Croce. La Pasqua di risurrezione non può fare a meno della Pasqua di passione. Ci dice che il male e la morte non sono l’ultima parola. Guardando a Gesù morto e risorto, dobbiamo imparare ad affermare che la morte non è più l’ultima parola sulla vita. Gesù è risorto, ha vinto la morte, ci ha donato la vita per amore. Cristo è gioia. La gioia della Pasqua consiste nel ripartire dal senso pieno della vita, che scaturisce dal mistero di Gesù morto e risorto e che ha nell’amore il suo fondamento e nella speranza la sua prospettiva. Con questa certezza, a tutti e a ciascuno, a cominciare dalle persone ammalate e sole, va il nostro augurio di una lieta e santa Pasqua di Risurrezione.
Mons. Angelo con i Sacerdoti, le Persone consacrate ed il Consiglio Pastorale della Comunità Pastorale S. Eufemia