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Gesù “gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare»” (Gv 11,43-44).
In questa domenica di Quaresima, dedicata a Lazzaro, riflettiamo sulla preghiera donataci da Cristo stesso e che in Lui ci permette di affidarci a Dio nella dignità di figli. “Tu credi nel Figlio dell’uomo?” (Gv 9,35). Nel Vangelo della scorsa domenica Gesù si rivela come “Figlio dell’uomo”, appellativo che ricorre frequentemente nell’Antico Testamento e nei Vangeli, e che evidenzia la natura umana di Cristo, ma, al contempo, la Sua identità di Messia (Dn 7,13-14). “Io credo che Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio” (Gv 11,27). La fede di Marta, sorella di Lazzaro, le permette di riconoscere in Gesù l’Unigenito di Dio, l’Amato (Mt 17,5 - Mc 9,7), l’Eletto (Lc 9,35). Ma Gesù, “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio” (Fil 2,6), rendendoci partecipi della Sua prerogativa di Figlio e immergendoci nell’infinito Amore di Dio. “Solo Gesù poteva dire - Padre mio - a pieno diritto, perché solo Lui è davvero il Figlio unigenito di Dio, della stessa sostanza del Padre. Noi tutti dobbiamo invece dire: Padre nostro. Solo nel noi dei discepoli possiamo dire Padre a Dio, perché solo mediante la comunione con Gesù Cristo diventiamo veramente figli di Dio” (Benedetto XVI). Il nostro pregare, grazie alla Comunione con Gesù, diventa un cammino che ci trasforma e ci orienta autenticamente verso Dio. Il Signore ci conduce amorevolmente come fa con Marta e con Maria, la fede delle quali, nonostante sia salda, è imperfetta ed esclude il segno glorioso che Gesù intende compiere su Lazzaro. “Gridò a gran voce: Lazzaro, vieni fuori!” (Gv 11,43). Il grido che Mosè rivolge a Dio (Es 14,15) e che Egli respinge, diviene grido di Dio verso di noi. Spalanchiamo il cuore alla speranza, abbandoniamoci alla preghiera, sapendo che “preghiamo Dio con parole date da Dio” (San Cipriano).
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“Gesù […] gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell'uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui” (Gv 9,35-38).
In questa domenica di Quaresima, dedicata alla figura del Cieco nato, meditiamo sulla parola “amen” che apre e suggella la preghiera per professare la fede. “In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono”. Abbiamo ascoltato domenica scorsa dalla voce di Gesù (Gv 8,58). Cristo si rivela ai Giudei come Dio stesso si rivelò a Mosé (Es 3,14-15). Le parole riportate da Giovanni sono introdotte dalla nota formula “in verità, in verità” che traduce il testo greco “Amén, amén”. Nel libro dell’Apocalisse amen diviene un nome che indica La Verità, Il Veridico indicando Gesù stesso. Il Signore ci accompagna come ha fatto con il cieco a Gerusalemme, manifestandosi prima di ottenere la sua risposta di fede “lo hai visto: è colui che parla con te. Ed egli disse: Credo, Signore”. È Gesù a donarsi, non siamo noi a raggiungerlo. Il cieco accoglie la parola di verità di Cristo. E noi possiamo professare la nostra fede solo grazie a questo “prima” di Gesù che ci ha mostrato nel perfetto modello di Maria, il cui “amen” ha dato corpo al progetto salvifico di Dio. Anche il prima di Maria “che fa parte dell’apertura della strada tra Dio e noi, non indica l’isolamento di lei, ma lo schiudersi della possibilità che anche noi diventiamo capaci di dire sì a Dio, che il Verbo arrivi sino a noi e, in Lui, noi arriviamo sino a Dio” (H. U. Von Balthasar). Grazie all’unione di Maria con Dio, nasce la nostra unione con Dio che chiamiamo Chiesa e “amen” è la parola che più risuona nella Liturgia, nella preghiera personale e ogni volta che imprimiamo su di noi il segno della croce. Immergiamoci nell’Amore di Cristo, per mezzo dell’intercessione della Santissima Vergine Maria e professiamo: “Noi crediamo in Te, Dio, Trinità d’amore, e diciamo il nostro - Amen -“. (Mons. Delpini).
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“I Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono»” (Gv 8,57-58).
In questa terza domenica di Quaresima, dedicata alla figura di Abramo, riflettiamo sulla preghiera che scaturisce dalle ferite del bisogno, nella nostra quotidianità.
“Chi è Abramo? […] Abramo è l'amico di Dio fino alla sfacciataggine, perché vuole conoscere Dio fino in fondo […] Abramo si è buttato nella preghiera fin quasi all'irriverenza; ma lo ha fatto nella pienezza della fede per capire il disegno di Dio […]” (Carlo Maria Martini). Ma spesso le necessità ci soffocano e innescano una preghiera che rischia di lasciarci ripiegati su noi stessi. “Abramo è l’uomo della Parola. Quando Dio parla, l’uomo diventa recettore di quella Parola e la sua vita il luogo in cui essa chiede di incarnarsi. […] Abramo visse la preghiera nella continua fedeltà a quella Parola” (Papa Francesco). Attraverso la preghiera, quale spazio lasciamo all’incontro con Dio? Apriamo il nostro cuore a conoscere la Sua volontà? Nel dialogo con Dio cerchiamo, come Abramo, la Sua voce? “La preghiera cristiana conosce e pratica la preghiera di domanda: la vive però secondo lo Spirito […] il cristiano in ogni preghiera riconosce anzitutto che Dio è Padre e invoca lo Spirito per vivere da figlio.” (Mons. Delpini) Lo Spirito Santo ci rende figli in Cristo e Gesù ci insegna a pregare come figli. Anche nell’invocare l’aiuto del Padre affinché ci soccorra nelle nostre difficoltà, il Signore ci dona la dignità dei figli, ci invita ad allargare i nostri orizzonti, ci coinvolge nella stessa responsabilità di Dio. Così la nostra preghiera, anche quella di domanda nel bisogno, può e deve aprirsi agli altri. Esercitiamoci in questo modo di pregare, spalancando il nostro cuore al disegno di Dio nella nostra vita, come Abramo, in cammino verso la preghiera perfetta di Gesù.
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“Chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14).
In questa seconda domenica di Quaresima vogliamo soffermarci sulla preghiera che nasce dall’ascolto della Parola di Dio.
“Sono io, che parlo con te” (Gv 4,26). Come alla Samaritana, il Signore continua incessantemente ad offrire ad ognuno di noi l’incontro salvifico con la Sua Parola che è incarnata, viva ed attuale, che “illumina, accende, ferisce il cuore di chi prega” (Mons. Delpini). Nell’azione liturgica Cristo, infatti, è presente e si rivolge al nostro presente. “Dammi da bere” (Gv 4,7). “Gesù aveva sete della fede di quella donna” (S. Agostino), la precede e la incontra nel bisogno, suscita in lei la ricerca e si dona come meta. La preghiera più autentica è quella che si fa ascolto, abbandono, che lascia operare il Suo Amore. “Ognuno di noi può immedesimarsi con la donna Samaritana: Gesù ci aspetta, specialmente in questo tempo di Quaresima, per parlare al nostro, al mio cuore. Fermiamoci un momento in silenzio, nella nostra stanza, o in una chiesa, o in un luogo appartato. Ascoltiamo la sua voce che ci dice: «Se tu conoscessi il dono di Dio»…” (Benedetto XVI).