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“Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva” (Lc 17,33)
Queste parole di Gesù possono incutere timore, se ci fermiamo alla prima parte della frase di Gesù: sarà condannato chiunque avrà guardato sistematicamente a se stesso, dimenticando l’altro. Ma c’è anche la seconda parte dell’affermazione di Gesù: si salverà chi comunque avrà donato la propria vita per amore. Che conta è ciò che ciascuno vive nel presente; così mettiamo in pratica, giorno per giorno, la parola di Gesù. Solo in questo modo passato e futuro si riempiranno di senso. Nei giorni di Noè e di Lot ci si era illusi di costruire la propria salvezza “mangiando, bevendo, comprando, vendendo, piantando o costruendo”; invece ci si prepara al giorno del ritorno glorioso di Gesù dimenticando se stessi per amore, come Gesù ha insegnato: “Non c’è amore più grande di questo: dare la vita” (Gv 15,13). Occorre cioè vivere giorno dopo giorno alla sua presenza, unendoci saldamente alla sua Parola, senza lasciarsi travolgere dalle cose inutili, vuote, puntando invece all’essenziale.

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“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
La salvezza viene da Dio: è Lui che salva, libera dal male e dalla morte. Tuttavia la salvezza conosce non solo una provenienza, ma anche un passaggio; passa infatti dalla fede in Lui e nel sacrificio redentore del suo Figlio Gesù. Chi, contemplando l’amore di Dio, si lascia trasformare da esso, entra nella vita eterna, attraverso il dono della salvezza. Qui c’è il segreto di una vita realizzata, che giunge al suo compimento nella vita eterna. C’è però chi rifiuta la fede; la fede infatti è un dono, che può essere accolto o non accolto. Per quale ragione si rifiuta la fede? Il Vangelo di questa domenica ce ne riferisce una: non si desidera la vita eterna, ma soltanto questa vita terrena. La vita eterna non è tra i desideri, perché ora non ci dà nulla, non aggiunge nulla alla vita che stiamo vivendo. Ma se crediamo alle parole del Vangelo: “Dio ha tanto amato il mondo …”, allora tutto cambia di senso. Chi crede in Lui ha la vita eterna.

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SOLENNITÀ DEL SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO
“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51).
Le parole di Gesù incontrano lo stupore e la perplessità della gente, suscitano lo sconcerto dei suoi ascoltatori, che si esprime in una domanda: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Ma non ci si fermerà alla domanda e alle perplessità; i suoi ascoltatori addirittura lo abbandoneranno, rompendo ogni legame con lui, ogni possibilità di dialogo. Per essi le parole di Gesù non costituiranno più motivo di interesse, perché non rientranti nelle loro aspettative. A noi oggi Gesù rivolge le medesime parola, invitandoci ad ascoltare la sua parola, a non abbandonarlo, a seguirlo, a contemplare il mistero della sua Persona, che nell’Eucaristia si rende presente e si comunica a quanti credono in Lui.

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“Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” (Gv 16,13a).
Forse ci sentiamo un po’ come i discepoli nel Cenacolo, alla vigilia della Passione di Gesù: sfiduciati e delusi, perché le promesse di Dio tardano a realizzarsi, non riusciamo a sentire la sua presenza. Ma Gesù ci dona il suo Spirito, che ci apre gli occhi e ci fa scoprire la verità tutta intera; e la verità tutta intera è che questa nostra storia, questa nostra vita è benedetta, nonostante il male che la segna e nonostante la fatica che ci fa soffrire; benedetta perché c’è Dio, che fin dall’inizio è Padre. È tutto qui il mistero della Trinità. Non è una verità misteriosa. Il mistero della Trinità è la chiave di lettura della nostra storia quotidiana: perché ci garantisce che non siamo soli. È con noi Dio Padre, che ha risuscitato il Figlio Gesù dai morti, manifestando per sempre la sua presenza di Padre per mezzo dell’azione dello Spirito.

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Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi»” (Gv 14,16-17).
“Quando era ormai imminente per Gesù Cristo il tempo di lasciare questo mondo, egli annunciò agli apostoli «un altro consolatore» (Gv 14,16). L'evangelista Giovanni, che era presente, scrive che, durante la Cena pasquale precedente il giorno della sua passione e morte, Gesù si rivolse a loro con queste parole: «Qualunque cosa chiederete nel nome mio, io la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio... Io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro consolatore, perché rimanga con voi sempre, lo Spirito di verità» (Gv 14,13.16-17). Proprio questo Spirito di verità, Gesù chiama Paraclito - e parákletos vuol dire «consolatore», e anche «intercessore», o «avvocato». E dice che è «un altro» consolatore, il secondo, perché egli stesso, Gesù, è il primo consolatore, essendo il primo portatore e donatore della Buona Novella. Lo Spirito Santo viene dopo di lui e grazie a lui, per continuare nel mondo, mediante la Chiesa, l'opera della Buona Novella di salvezza. Di questa continuazione della sua opera da parte dello Spirito Santo Gesù parla più di una volta durante lo stesso discorso di addio, preparando gli apostoli, riuniti nel Cenacolo, alla sua dipartita, cioè alla sua passione e morte in Croce”. (Dall’Enciclica Dominum et vivificantem, del Papa San Giovanni Paolo II, sullo Spirito Santo nella vita della Chiesa e del mondo, n. 3, 18 maggio 1986).