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Gesù sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva (Gv 9,6-7).
Nella cultura ebraica del tempo c’era l’idea che ogni malattia fosse strettamente collegata con il peccato: quanto più grave era una malattia, tanto più grave doveva essere il peccato commesso. Il riferimento è al celebre brano evangelico della guarigione del cieco nato e che la liturgia ambrosiana ci propone proprio nella quarta domenica di quaresima. «Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». (Gv 9,2). Eppure non sono i farisei a porre questo problema, sono gli apostoli, che condividevano però questa mentalità. Un modo di ragionare molto crudele. E quando il cieco, ormai guarito dal miracolo, si schiera apertamente dalla parte del Signore Gesù, i farisei lo cacciano via in malo modo adducendo proprio questa motivazione: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». Mentre Gesù, con il suo comportamento e la sua misericordia nei confronti dei peccatori, non considera nessuno irrecuperabile, i farisei con il loro modo gretto di ragionare, “congelano”, per così dire, nel male la situazione morale di chi non è dalla loro parte, considerandolo inevitabilmente e irrimediabilmente un peccato-re.

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«Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31‐32)
La Parola di Dio che la tradizione ambrosiana ci comunica nella terza domenica di quaresima ci ha indicato con chiarezza che ogni nostro peccato, indipendentemente dall’atto commesso, ha sempre alcune caratteristiche costanti. Innanzitutto è atto di ostinazione contro Dio, è essere gente di “dura cervice” o “dal cuore duro". E' poi atto di idolatria: è il tentativo di sostituire Dio, nostro sommo bene, con qualcos'altro.

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«Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,14)
Nel nostro cammino quaresimale verso la Pasqua, la seconda domenica della Quaresima ambrosiana ci richiama a prendere coscienza della nostra situazione. Nel nostro esame di coscienza fermiamoci a colloquio con il Signore, parliamo al Signore di noi stessi e della nostra vita. Lasciamo che sia Lui, attraverso la sua Parola, a far luce nel profondo del nostro cuore, lasciamo che sia il Signore a esaminarci, mettendo in evidenza quello che nella nostra vita non collima con la sua legge e quindi va cambiato, proprio come ha fatto con la Samaritana al pozzo.

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«Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per esser tentato dal diavolo» (Mt 4,1)
L’apostolo Paolo applica al cristiano l’immagine dell’atleta che deve impegnarsi nella gara della vita, con “agonismo”. E “agonismo” letteralmente significa capacità di lottare, volontà di scendere in campo, di allenarsi e combattere. Anche il brano evangelico (Matteo 4,1-11) – le tentazioni di Gesù, con cui inizia la Quaresima – ci richiama questa realtà. Si tratta di un vero e proprio duello tra il Signore e il demonio, un duello dal quale Cristo esce vincitore. È una situazione però che si ripropone ad ogni cristiano, perché la sua vita è inevitabilmente una lotta contro il male, contro il peccato.

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“Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto»” (Lc 19,8-10).
L’incontro con Gesù cambia il dopo di Zaccheo. Il dono, il perdono, conduce alla risposta del dono, del perdono. Da dono nasce dono, dal perdono viene il perdono. Zaccheo donerà ciò che ha, perché ha sperimentato la misericordia e il perdono. Anche a noi è chiesto di rendere il perdono che abbiamo ricevuto. Renderlo significa anzitutto uscire da noi stessi, abbandonare il nostro egoismo, le nostre vedute che hanno come panorama solo noi stessi e i nostri interessi. Se rimaniamo chiusi in noi stessi, come possiamo incontrare il Signore Gesù, sperimentare la gioia dell’incontro con lui che si fa perdono e diffondere attorno a noi altrettanto perdono? Anche oggi Gesù, come allora a Gerico, cammina per le strade del mondo, questo nostro mondo lacerato dal male, dall’odio, dalla guerra. Ogni persona può incontrarlo, come Zaccheo.